Il Monte Greco e le creste del Chiarano per la festa di Luca. I suoi primi cento 2000m.


L’idea di un giro così bello, vasto, e complesso vi venne in mente immediatamente l’8 Ottobre quando salii per la prima volta Toppe del Tesoro. Dalla cima secondaria di questo monte del tutto marginale nel panorama delle cime appenniniche lo sguardo abbracciava un territorio così vasto e sterminato da eccitare all’istante per le mille possibilità che poteva offrire. In un solo colpo d’occhio l’immaginario veniva colpito ed accompagnato dall’estremità delle Mainarde fino al gruppo del Velino e più lontano ancora fino al Gran Sasso. E li sotto una prateria sconfinata fatta di valli e creste che chiamava alla salita del maestoso Monte Greco e di quella infinita cresta che rispondeva al nome di Serra di Rocca Chiarano. Monti così anonimi, se non per le altezze, visti da Passo Godi quanto dolomitici e strapiombanti visti da questo versante. A dire il vero l’idea che mi era balenata era quella di pernottare in altura con la tenda e di vagabondare per l’immensità del territorio alla conquista di tutti i 2000 raggiungibili. Poi il progetto ha sedimentato, ha scavato, incuiriosito, ha preso i connotati di una strepitosa occasione mancata ed è diventata chiodo fisso con l’avanzare della stagione e quindi della sua fattibilità. L’occasione della 100esima vetta di Luca ha ridato cuore all’idea però; una vetta importante, vergine per lui e per gli altri componenti del gruppo, una vetta che desse a tutti la possibilità di esprimersi e che doveva coincidere col suo traguardo personale; mancavano tre cime per Luca, l’idea del filotto Toppe del Tesoro, Serra delle Gravare e Monte Greco mi sembrò splendido per l’occasione. Il giro si poteva spingere fino a Sud sul Monte Chiarano e terminare lì, oppure poteva espandersi fino a toccare tutte le cime del gruppo, ma la cosa come sempre si sarebbe decisa sul posto, a seconda del tempo rimanente e delle condizioni meteo. E della impetuosità di Luca mai sazia quando ci sono altre cime a portata di scarpone. Il 30 Ottobre era l’ultima giornata dell’anno a godere dell’orario estivo, una finestra di tempo spettacolare era ormai consolidata nelle previsioni meteo, tutte le condizioni si stavano preparando alla riuscita del progetto. E progetto è stato. Con me, Luca solo Federico Viaggiando di notte ci incontriamo al casello di Pratola Peligna con Federico; tutti in un’unica auto e alle 6 e 40 siamo già pronti alla partenza zaini in spalla. Le aspettative sono tante, lo sento dall’eccitazione di Luca a caccia del suo personale traguardo. Partiamo per quella che “qualcuno” ha definito solo una “lunga passeggiatona” usando la pista da sci che scende direttamente dalle Toppe del Tesoro come fosse un’autostrada. Già in basso i primi segni di una nevicata precoce che lascia invece coperte anche se debolmente, le creste lassù in alto, In poco più di un’ora abbiamo coperto i 470 metri di dislivello. Il freddo pungente che ci ha colto per i preparativi giù ad Aremogna si è disperso sotto i primi raggi del sole una volta usciti in cresta; l’assenza di vento ha fatto il resto e ben presto l’assetto ha preso i connotati dell’escursione piacevole quasi estiva. Ore 8 siamo già nella secondaria vetta delle Toppe del Tesoro, quella degna per una foto ricordo, quella che si affaccia sulla Valle delle Gravare, sul Greco, su quell’immenso panorama che abbraccia tutti i nostri desideri di conquista. Qualche foto e la decisione del percorso da farsi, la scelta delle valli e delle gobbe; tutto sembrava così a portata di piede, ma mai tanta ingordigia è stata più ingannevole. Prendiamo a scendere secondo il percorso studiato ma la caratteristica della giornata si fa palese all’istante; un continuo di gobbe ci costringe a scendere e salire di continuo, ciò che sembra vicino diventa più lontano; anche la valle che sembrava una passeggiata da archiviare in poco tempo diventa sempre più grande. Ci siamo cominciati a sentire piccoli di fronte alla vastità di un territorio sottovalutato. Ma ci avvicinavamo e da sotto la valle delle Gravare , quelle montagne diventavano imponenti. Il Greco è uno spettacolo incommensurabile da quella posizione. Saliamo una dorsale tondeggiante che che codurrebbe direttamente al Greco ma questa deve essere per Luca la terza vetta della giornata e non dobbiamo salirala subito; anche per una questione di sinergia per non ritornare sui nostri passi, senza salire il valico del Greco scontorniamo di traverso le prime roccie delle Gravare verso Nord. C’è più neve su quel versante, il pendio si fa più ripido ma per avanzare non ci sono difficoltà; prendiamo in verticale per divertirci un po’ fino ad uscire in cresta a poche decine di metri dalla vetta di Serra delle Gravare. Sono le 9 e 25 e ci sentiamo nel cuore di quell’immenso territorio dominati da due montagne bellissime: il Greco vestito di bianco che specchia in controluce e Serra di Rocca Chiarano, una dorsale rocciosa di rara bellezza. Ma ormai ci siamo, nessuno tiene più Luca, dopo pochi minuti dedicati alle solite foto e a goderci il sole ed il paesaggio da angolatura diversa riprendiamo per il momento solenne della giornata. Il versante nord del Greco è ripido, innevato abbondantemente e per evitare la pettata prendiamo i segni di un sentiero che lo scontorna verso ovest. Federico e Luca hanno un passo micidiale, mi lasciano indietro, nel cielo di un azzurro raro, impegnati nella salita rimandano ad immagini di montagna più ardite. Eppure siamo nei Marsicani; l’immagine è di una bellezza insolita: una dorsale obliqua bianca, una traccia di sentiero scavata nella neve e due uomini che puntano diritti verso un blu avvolgente. La montagna! Immagine entusiasmante di un mondo di fatica e bellezza! Ancora pochi tornanti sempre più ripidi e all’avvinarsi delle rocce di vetta prego Luca di aspettarmi; gli consegno la bandiera di Aria Sottile, lo prego di portarla con se mentre va a prendersi il meritato ed ambito traguardo che raggiunge esattamente alle 10 di questa meravigliosa giornata. Un brindisi è dovuto e gli porgo la solita bottiglia di Prosecco per festeggiare; si preoccuperà con entusiasmo di annaffiare abbondantemente la cima che gli rimmarrà nel cuore. E’ qui , un attimo prima del momento della sua gloria che Luca mi sorprende con un libro che mi ragala, con una dedica che mi fa condividere ancora di più questo suo successo. Momenti piacevoli, intensi, indimenticabili, vissuti a 2263 metri di altezza sotto un sole abbagliante col mondo delle montagne tutto intorno. Già perchè dalla croce di cima del Monte Greco sembra che tutte le cime degli Appennini siano visibili. Volete annoiarvi a leggere un elenco interminalbile? Accontenati; a sud il Miletto, continuando verso nord girando da ovest, tutta la cresta delle Mainarde dal Monte Mare fino al maestoso Meta, in primo piano il Petroso e tutte le sue cime li intorno poi lo Iammiccio, Il Capraro e il Balzo della Chiesa, dietro il Bellaveduta e Rocca Altiera mentre in primissimo piano, dietro la cresta di Serra di Rocca Chiarano tutto il gruppo del Marsicano con la miriade di cime che lo contraddistinguono ed in vista il Ninna e il Monte della Corte. Dietro, lontano, il Viglio e la catena dei Simbruini. Continuando verso Nord il Monte Godi e tutte le montagne della Terratta e poi il Genzana; e continuando verso Est dietro, il Velino con Il Sirente un po’ più vicino mentre lontana tutta la catena del Gran Sasso brilla come sempre di luce propria. E poi il Rotella, il Morrone, la Majella ed il Porrara; chissà, forse ne avrò dimenticato qualcuno nella sbornia da montagna che stavo subendo! Ci sembrava di essere sul tetto del mondo nel momento giusto; una serie di coincidenze che stavano dando alla giornata un connotato di unicità da ricordare e tenere dentro come ragalo prezioso. Riprendiamo sulla cresta verso Sud; la carta ci aiuta a distinguere il Monte Chiarano, ultima propagine del gruppo; terza cima della dorsale che dal Greco si spinge a Sud, di circa cento metri più bassa di questo; certo si perde nel novero delle gobbe di questa cresta. La raggiungiamo dopo una lunga camminata senza difficoltà alcuna alle 11 e 15 e giusto il tempo della sosta per qualche foto, immensa la vista sul prospicente Monte Meta, che ripartiamo. Il percorso è chiaro, tenedoci verso ovest, per intenderci in direzione del Marsicano, scendiamo la valle per andare ad intercettare le prime gobbe della vicina dorsale che lentamente ci riporteranno in quota. Ancora saliscendi continui; ci infiliamo in valli parallele da dove lo scenario cambia di continuo e risaliamo la quota. Estenuanti sono le pur brevi salite, ormai cominciamo ad essere provati, ma solamente io e Federico perché Luca, non so come faccia, fila imperterrito senza provare stanchezza. Lui davanti e noi dietro arriviamo a Rocca Chiarano alle 12 e 20; il Greco è ora di fronte verso Est, in tutta la sua rotondità tipica del versante ovest, torniamo a scoprira le Gravare e dietro, ad Est la nostra partenza, Le Toppe del Tesoro che sono lontanissime. Ovviamente si tratta di continuare, Luca è già in viaggio; non fa caso ad una cresta lunghissima tutta davanti, con inportanti dislivelli continui da salire e scendere, alle nuvole che dietro di noi hanno sommerso il Miletto e stanno scavalcando la Meta, è già la davanti. Pensando che in questo momento avesse ragione lui, che per far diventare epica questa giornata dovevamo solo avanzare e raccogliere tutto ciò che c’era da raccogliere, non ho provato nemmeno a sollevare la questione, e quello che poteva essere il punto del ritorno, l’opportunità che doveva essere discussa non ha avuto ragione nemmeno di essere pensata. C’erano in fondo ancora cinque ore di luce di una giornata che si andava confermando anche per il pomeriggio, tanto tanto da camminare e solo due vette da raggiungere davanti. L’ironia è voluta e solleva dall’angoscia. A confortarci un percorso di cresta mozzafiato; imperterriti a salire e scendere le cime di questa lunghissima e bellissima serra. Ad ovest un dislivello che per quanto ripido scendeva gradatamente verso la valle e verso il Passo Godi mentre ad Est strapiombi verso la valle sottostante rendevano sempre più interessante questa montagna finora anonima alla nostra vista. Il Marsicano è talmente vicino che sembra di toccarlo, il passo Godi ormai a vista riportava a momenti piacevoli e ad antichi progetti per la Serra di Rocca Chiarano ormai decaduti. Ricordi di altre giornate di montagna mentre, con Luca sempre in fuga e davanti a noi di una decina di minuti, toccavamo alle 13 e 10 la nostra seconda vetta della giornata in ordine di altezza. Punto di osservazione diverso, Serra di Rocca Chiarano, ma sempre privilegiato nel bel mezzo di un gruppo di montagne complicato e dispersivo. Ma ormai la frenesia del ritorno si è impossessata di noi. La sosta è breve se pur avrebbe meritato molto di più; prendiamo ancora verso Nord verso il Valico dello Scalone. Ci è stato consigliato da un indigeno che abbiamo incontrato sull’anticima del Greco come unico punto di discesa dell’intera cresta a meno di non voler tornare indietro verso la Rocca Chiarano. Tornare indietro? Non sia mai; è così che avanzando verso Nord e perlustrando la possibilità di intercettare un altro punto di discesa ci percorriamo l’intera infinita dorsale della Serra. Alcuni scorci sono mozzafiato come la più verticale e strapiombante cresta che abbia mai visto, un taglio della roccia, un anfiteatro verticale, falesia naturale da lasciare stupito anche Federico che incontriamo circa a metà della dorsale Non abbiamo ben presente dove sia il valico dello Scalone; sappiamo che è a quota 1900 metri ma ci accorgiamo che la dorsale della Serra scende di quota molto lentamente, ed è infinitamente lunga. Di certo l’abbiamo sottovalutata. Da nessuna parte si scende, tutto il versante è sempre troppo verticale e dove c’è un accenno di fattibilità di discesa è il leggero strato di neve a dissuaderci dal tentare. E allora ancora avanti, stanchi, di una stanchezza da non confessare tanto è il percorso ancora da coprire. Ci mettiamo ora sotto la cresta verso Ovest per risparmiare i soliti su e giù, passo Godi è ormai distinguibile con i sui rifugi, viaggiamo in quota per cercare di intercettare quelle gobbe più morbide che vediamo giù in fondo alla dorsale. Quando ci arriviamo la sorpresa è sempre la stessa; pendii impossibili da aggredire, la valle la sotto ed il Pratello lontanissimo rimangono una chimera. Probabilmente ognuno di noi cominiciava a preoccuparsi, il tempo passava ed il sole si abbassava mentre noi eravamo ancora alla ricerca di questo benedetto valico dello Scalone. Sono certo oggi riguardando la carta che non lo abbiamo di fatto intercettato, che abbiamo deciso di scendere qualche centinaio di metri prima, che il punto da dove siamo scesi era un centinaio di metri sopra quota 1900 dello Scalone. Comunque, come capre, ridendo per la situazione in cui ci eravamo cacciati ormai in lotta con il tempo, in qualche maniera siamo scesi. E’ stato un precipitare verso valle ma dopo una mezz’ora di lotta estenuante con la pendenza e la mancanza di sentiero nel punto più basso della valle sottostante ci siamo arrivati. La situazione beffarda a questo punto era che la Serra di Santa Maria, quella rotonda e modesta sommità che sembrava dall’alto poco più che una collina, dal basso cominciava a prendere sembianze di montagna. Ci sembrava impossibile continuare a salire ma li non si poteva rimanere e ci siam dati da fare. Spinti da un Luca indomito e costantemente in fuga io e Federico arrancando, prendendo il più lento dei passi di montagna lentamente conquistiamo il pendio. Lassù per prima cosa butto lo sguardo su Pratello, ancora terribilemente lontano. Piangerei tanta è la stanchezza ma non risolverebbe. Il Pratello è il passaggio per il ritorno e nulla altro è da fare se non continuare senza sosta. Anche perché la luce comincia a prendere il calore caldo delle ultime ore della giornata. Sul piano in fondo Luca è stranamente fermo ad aspettarci; quando lo raggiungiamo ci prepara alla visione più nefasta che potevamo aspettarci. Altro che Pratello, davanti avevamo una ennesina valle, un baratro ai nostri occhi, da scendere e risalire se sul Pratello volevamo giungere. Roba da togliere le forze, da far cambiare il programma e rintanarsi dentro qualche rifugio se ci fosse stato. I piedi non ne volevano più, le gambe erano dure ma l’unica cosa da fare era ricominciare a mettere un piede davanti all’altro e pensare solo che ogni passo fatto era uno in meno da farsi. Nella mente di Federico cominciava a balenare l’idea che la “passeggiatona” fosse stata un tantino sottovalutata e di certo non riuscivo più a dargli torto. Lo sforzo cominciava a prendere contorni epici, mi ricordava la giornata delle otto vette sulla Majella che avevo vissuto pochi mesi prima. Comunque per scendere il problema è stato minimo, quei centocinquanta metri in discesa si son lasciati prendere, quello che rimaneva erano gli oltre trecento metri in salita che avevamo davanti. Era come se la nostra mente si rifiutasse di prenderla in considerazione; era una allucinazione la vetta del Pratello; otto ore che camminavamo in su ed in giù, in lungo ed in largo e altri trecento metri di dislivello in salita si prendevano beffa della nostra volontà. Cerco di scegliere accuratamente il percorso per evitare il pur minimo strappo risparmiabile e mi accorgo che il percorso che scelgo è lo stesso di Luca che come al solito è duecento metri più avanti di noi. Cominciamo quella che ci sembrava una impresa impossibile seguendo un canale che scontornando e dividendo i vari dossi prende sinuosamente e lentamente a salire. Federico accusa la stanchezza, sente dolore ai piedi e procede sempre più lentamente; decido io per tutti e due la traiettoria e non penso minimamente di seguire Luca quando abbandonando il sentiero e le linee naturali del terreno inizia a salire di petto l’ennesima grossa gobba. Ci usciamo alla fine dal dedalo di gobbe, ora tra noi ed il Pratello solo una lunga salita che se presa scegliendo le dorsali dei vari avvallamenti solo a tratti si fa particolarmente irta. Gli ultimi cento metri sono micidiali; Le linee della vetta non si avvicinano nonostante continuiamo ad avanzare, ed in tutto questo abbiamo perso il contatto con Luca. Anche i telefonini sono out, non rimane che guadagnare la cima, ansimando, stringendo i denti sudano ed imprecando. Un passo dopo l’altro, lentamente fino ad arrivare alla massiccita della pista da sci che lambisce la vetta. Il Pratello è cosa fatta ma è solo una battaglia vinta, la guerra, la vittoria è quattrovento metri più in basso. Anche qui non c’è ombra di Luca e nonostante la brutta presenza delle antenne solo a tre metri della croce del Pratello i telefoni continuano a rimanere muti. Per un attimo riusciamo a prendere la linea, Luca è già passato di li, è dieci minuti davanti a noi. Non ci capiamo gran che ma ormai è impossibile perdersi e con Federico che probabilmente ha stramaledetto le nostre scelte della giornata prendiamo a scendere e questa volta per l’ultima volta verso Aremogna dove ci sembra impossibile che ad attenderci ci sia un cambio asciutto ed un comodo sedile di auto per riposare un attimo. Ormai è crepuscolo e infilati in una valle stretta, percorrendo una strada di servizio degli impianti di sci intercettiamo Luca che scende veloce e agile dal crinale che ci sovrasta. Lo invidio mentre lo guardo; i miei piedi dentro gli scarponi gridano vendetta, la stanchezza è imperiosa e lui è ancora li che scende saltando gli ostacoli come fosse or ora all’inizio della giornata. Ma come si fa a stancarlo? Più di così è impossibile! Sono le 17 e 30 quando arriviamo al percheggio. Ormai la luce del giorno non è più tale, ci basta solo per le manovre di vestiario e rimessaggio degli zaini. Sono passate dieci ore da quando abbiamo mosso i primi passi, calcolerò poi in circa 24 i chilometri percorsi, un dislivello di circa 1300 metri a salire e 1500 a scendere, sette vette conquistate ed il traguardo delle cento per Luca. Che giornata epica da ricordare! Ma soprattutto una giornata straordinaria dal punto di vista climatico, che ci ha regalato si tanta fatica ma anche panorami immensi a perdita d’occhio, un azzurro del cielo intenso ed un sole caldo che forse rimpiangeremo a lungo. Era l’ultima giornata sfruttabile con l’orario estivo, con la classica ora in più nel pomeriggio. Più di così non si poteva sfruttare; più di così non si poteva vivere. Grande Luca per aver centrato in così poco tempo il traguardo delle cento vette sopra i 2000 e soprattutto grande per la sua straordinaria prova di forza e caparbietà. Vai piano Luca che le 200 vette arriveranno presto e poi dove salirai ancora?